Il 19 febbraio del 1853 Ferdinando II di Borbone firmava un decreto con il quale incaricava l′arch. Errico Alvino - già commissario straordinario per Via Chiaia e S. Ferdinando - di progettare un viadotto sotterraneo che, passando sotto Monte Echia, congiungesse il Palazzo Reale con piazza Vittoria, prossima al mare e alle caserme. Tale decreto non aveva affatto un carattere sociale; contemplava, infatti, la realizzazione di un percorso militare rapido, in difesa della Reggia, per le truppe acquartierate nella caserma di via Pace (attuale via Domenico Morelli), nonché una sicura via di fuga per gli stessi monarchi, visti i rischi che avevano corso durante i moti del 1848. L′architetto progettò uno scavo con sezione trapezoidale, muri d′imposta a scarpa, larghezza e altezza di 12 metri, suddivisa in due gallerie per gli opposti sensi di marcia. Tali gallerie dovevano essere ampie, ciascuna 4 metri e separate da un sottile parapetto sostenente i lampioni per l′illuminazione a gas e dotate infine di marciapiedi laterali larghi 2 metri. La galleria diretta a Chiaia doveva avere il nome di "Galleria Reale o "Strada Regia, mentre la galleria in senso contrario doveva chiamarsi "Strada Regina; entrambe sarebbero partite presso la vecchia caserma di cavalleria nella ex via Pace, ma una avrebbe raggiunto il Largo Carolina dietro il colonnato di Piazza Plebiscito e l′altra Via Santa Lucia. I lavori per l′apertura della traccia vennero avviati nell′Aprile del 1853; si attaccò la montagna nell′odierna via Domenico Morelli (ex via Pace) dallo slargo che coincideva con un precedente piazzale di cava dove si trova l′attuale accesso alla galleria. Non venne fatto nessun tentativo di scavo partendo dalla direzione opposta. Da esso partivano due gallerie, una carrabile e l′altra pedonale, che procedevano parallele per 84 m, per finire all′interno delle Cave Carafa che erano già state utilizzate a partire dal Cinquecento per la costruzione di vari edifici nella zona. Nel 1788 erano state ulteriormente sfruttate estraendo altro tufo per la costruzione della Chiesa della Nunziatella, che la Marchesa Anna Mendoza della Valle fece erigere per i Padri Gesuiti, che furono, successivamente, cacciati da Ferdinando IV nel 1787 per insediarvi il Collegio Militare della Nunziatella. Prima di giungere nelle Cave Carafa, attualmente sede di un parcheggio multipiano, lo scavo della Galleria Borbonica incontrò un cunicolo ancora attivo pertinente ai rami seicenteschi dell′acquedotto della Bolla. Per evitare di togliere l′acqua ad alcuni edifici in Via Cappella Vecchia, furono realizzati degli ingegnosi lavori idraulici per consentire il passaggio dell′acqua a quote inferiori rispetto a quella della galleria. Dopo di che si partì con il secondo tratto del traforo il cui scavo presentò numerosi problemi tecnici. In particolare, dopo circa 40 m dalle cave Carafa, furono intercettati degli ambienti più antichi e situati a un livello più alto; la sezione di scavo divenne, quindi, irregolare creando problemi statici alla struttura. L′architetto Alvino intervenne prontamente facendo regolarizzare, per quanto possibile, la sezione di scavo superiore con quella inferiore, realizzando al contempo una serie di moduli trasversali costituiti ciascuno da un arco poggiante su piedritti a scarpa. Tali strutture in muratura con funzione di contrasto alle pareti bloccarono l′apertura delle lesioni e lo scavo poté continuare in sicurezza. Dopo circa 200 m dall′inizio dello scavo si rasentò una grossa cisterna della suddetta rete idrica seicentesca che riforniva la città di Napoli a pelo libero, mentre un altro grosso serbatoio si incontrò dopo circa 245 m. Anche in questo caso, per evitare di privare gli utenti delle sovrastanti case di Via Egiziaca a Pizzofalcone si escogitò una soluzione imponente in quanto si realizzò un ponte alto 8 m dal fondo della cisterna, con un piano di calpestio allo stesso livello dello scavo precedente, e si alzarono muri colossali in tufo e in laterizi per isolarsi da possibili accessi derivanti dalla presenza di eventuali ulteriori pozzi. Dopo questa zona, la galleria proseguì con una sezione m 4 di larghezza x 3 di altezza intercettando marginalmente un′altra enorme cisterna superata, anche in questo caso, da un ponte lungo circa 20 m ed alto 10 m, dopo il quale lo scavo proseguì con la stessa sezione. I lavori furono completati nel Maggio del 1855 dopo circa 3 anni di lavori realizzati totalmente a mano con picconi, martelli e cunei, e con l′ausilio di illuminazione fornita da torce e candele. Il 25 dello stesso mese la Galleria Borbonica venne addobbata e illuminata sfarzosamente per la visita di Ferdinando II di Borbone rimanendo aperta al transito pubblico per soli 3 giorni. In corso d′opera furono apportate numerose varianti; ad esempio vennero modificate le dimensioni degli imbocchi ma, soprattutto, si optò per proseguire dopo le cave "Carafa con una galleria unica e fu abbandonato il progetto di aprire delle botteghe lungo il tragitto del traforo. Negli anni successivi, il progetto fu sospeso per motivi economici e per il variato assetto politico che portò all′unità d′Italia. Durante il periodo bellico, tra il 1939 e il 1945, la Galleria ed alcune ex cisterne limitrofe furono utilizzate come ricovero dei cittadini; vi trovarono rifugio tra i 5.000 ed i 10.000 napoletani, molti dei quali persero le case durante i numerosi bombardamenti subiti dalla città sia da parte degli alleati, prima, e in seguito dei tedeschi. Per consentire un accesso sicuro alle persone, vennero realizzate diverse aperture; in particolare, fu fatta una scala a chiocciola, proprio nel punto in cui erano terminati i lavori dell′architetto Alvino, che consentiva l′accesso alla Galleria da Piazza Carolina. Dal vicino palazzo della Prefettura fu creato, inoltre, un collegamento orizzontale che si innestava proprio sulla scala a chiocciola per consentire anche ai dipendenti del palazzo di raggiungere il ricovero. Inoltre, la galleria e gli ambienti limitrofi furono dotati di impianto elettrico e di servizi igienici dai tecnici dell′UNPA Unione Nazionale Protezione Antiaerea utilizzando risorse economiche del Ministero dell′Interno e del Comune di Napoli; al contempo, su gran parte delle pareti e delle volte degli ambienti, fu stesa della calce bianca con il duplice intento di evitare la disgregazione del tufo e di migliorare la luminosità degli spazi. Dopo la guerra e fino al 1970 la Galleria Borbonica fu utilizzata come Deposito Giudiziale Comunale dove veniva immagazzinato tutto ciò che era stato estratto dalle macerie causate dai duecento bombardamenti subiti da Napoli; qui si ammassò anche tutto quello che fino agli anni 70 veniva recuperato da crolli, sfratti e sequestri. Nel 2007 i geologi che lavoravano nella galleria scoprirono un passaggio murato che lo divideva da un′altra grande cavità che era stata riadattata a ricovero bellico. In questi ambienti gli stessi geologi rinvennero un altro accesso ai ricoveri, che nel Seicento costituiva già un ingresso al sottosuolo. Il passaggio veniva utilizzato dai pozzari che si occupavano della manutenzione dell′acquedotto; è costituito da una stretta scala di 75 gradini in coccio pesto che giunge in un locale di Vico del Grottone, alle spalle della chiesa di Piazza Plebiscito. Oltre ai numerosi autoveicoli e motoveicoli, al di sotto di cumuli di detriti alti 8 m, sono state rinvenute parecchie statue di epoche diverse tra le quali l′intero monumento funebre del capitano Aurelio Padovani, pluridecorato capitano dei bersaglieri nel I conflitto mondiale e fondatore del partito fascista napoletano.
I grease the path of the tunnel. In the following years, the project was suspended for economic reasons and for the varied political structure that led to the unity of Italy. During the war period, between 1939 and 1945, the Gallery and some neighboring former cisterns were used as a shelter for citizens; between 5,000 and 10,000 Neapolitans found refuge there, many of whom lost their homes during the numerous bombings suffered by the city both by the Allies, first, and later by the Germans. To allow safe access for people, several openings were made; in particular, a spiral staircase was made, right at the point where the works of the architect Alvino had ended, which allowed access to the Gallery from Piazza Carolina. In addition, a horizontal connection was created from the nearby prefecture building that was grafted onto the spiral staircase to allow the employees of the building to reach the shelter as well. In addition, the tunnel and the surrounding areas were equipped with an electrical system and sanitary facilities by the technicians of the UNPA National Anti-aircraft Protection Union using economic resources from the Ministry of the Interior and the Municipality of Naples; at the same time, white lime was spread on most of the walls and vaults of the rooms with the dual purpose of avoiding the disintegration of the tuff and improving the brightness of the spaces. After the war and until 1970 the Bourbon Gallery was used as a Municipal Judicial Deposit where everything that had been extracted from the rubble caused by the two hundred bombings suffered by Naples was stored; here was also amassed everything that until the 70s was recovered from collapses, evictions and kidnappings. In 2007 the geologists working in the tunnel discovered a walled passage that divided it from another large cavity that had been converted into a military shelter. In these environments the same geologists found another access to the shelters, which in the seventeenth century already constituted an entrance to the subsoil. The passage was used by the wells who took care of the maintenance of the aqueduct; it consists of a narrow staircase of 75 steps in earthenware that reaches a room in Vico del Grottone, behind the church in Piazza Plebiscito. In addition to the numerous cars and motorcycles, under 8 m high piles of debris, several statues from different eras were found, including the entire funeral monument of Captain Aurelio Padovani, highly decorated captain of the Bersaglieri in the First World War and founder of the Neapolitan fascist party.